I nomi dei tè, per i cinesi, sono una cosa seria. Così seria da ritenere intollerabile la terribile confusione fatta dagli occidentali in quella che per loro è una via di mezzo fra un’arte e una religione. Così nel 1979 il professor Chuan Chen dell’Istituto di agricoltura della provincia di Anhui decise di mettere fine a questa confusione di nomi e propose una revisione della classificazione delle sei tipologie di tè cinesi. L’obiettivo era arrivare a una classificazione che fosse valida non solo in Cina, ma in tutto il mondo.
La scelta dei nomi del tè
Chi infatti meglio del popolo che il tè l’aveva inventato più di 4mila anni fa può essere titolato a stilare una classificazione universale? Così il professor Chen si mise con certosina pazienza e scrisse il manuale “Tea classification in theory and practice”, ancor oggi la Bibbia in materia di tè. Particolare importanza nel testo viene data alla nomenclatura delle varie qualità. I nomi, infatti, non sono parole scelte arbitrariamente, ma hanno una precisa funzione descrittiva della qualità delle foglie selezionate.
Ogni termine indica una caratteristica
Attraverso la combinazione di vari termini della tradizione cinese, il nome del tè descrive sapore, profumo, colore o forma delle foglie scelte, ma non solo. Può indicare anche la regione di provenienza, o la tecnica utilizzata nella coltivazione. Capita perfino che indichi il mese di fioritura o le rotte commerciali sulle quali quella particolare varietà si muove. La combinazione di nomi derivanti da tutte queste caratteristiche comporta, com’è facile immaginare, un sistema estremamente complesso. Basti pensare che esistono tè dalle caratteristiche particolari che possono avere fino a 10 nomi.
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